Montepascolu piccolo castello arroccato
in cima ad un’alta collina, lontano dalle grandi strade romane, e quindi
abbastanza sicuro e tranquillo. Troppo tranquillo, uniche entrate erano le
tasse da far pagare ai pastori che passavano per la transumanza o che si
fermavano nei bei pascoli intorno sempre verdi e con abbondante acqua per tutto
l’estate.
C’era
un fossato delle mura di cinta ed un ponte levatoio, abbastanza malconcio, ma
ancora funzionante.
Da ottobre a marzo purtroppo c’era poco
da fare per tutti, e ancora meno da mangiare. I pochi abitanti del paese si
arrangiavano raccogliendo castagne, e centellinando i magri raccolti di fave,
grano, lenticchie.
Dentro le mura due sole costruzioni in
muratura il grande mastio o torre principale dove viveva il feudatario padrone
dei prati, dei boschi e cosa importante delle fonti d’acqua: Lisantro, cosi si
chiamava il reggente del castello. Uomo duro, robusto e barbuto, dalla morte della sua consorte Armida, i maligni insinuavano che invece lei fosse fuggita, è sempre alla ricerca di una bella e giovane preda per una notte.
chiamava il reggente del castello. Uomo duro, robusto e barbuto, dalla morte della sua consorte Armida, i maligni insinuavano che invece lei fosse fuggita, è sempre alla ricerca di una bella e giovane preda per una notte.
Ma durante il lungo inverno ci sono solo
i suoi poveri contadini e artigiani, allora non disdegna nemmeno una bella
notte assieme i suoi soldati, in particolare con i suoi due fedelissimi
Vladimiro e Celso.
Alla notte, tira su la scala che porta
all’ingresso del mastio, rimane al sicuro lui e pochi fedeli. Gli alloggi degli
altri soldati sono accanto al ponte levatoio, e sono loro che organizzano la
ronda sulle mura per tutta la notte.
Altra costruzione in muratura la piccola
chiesa tenuta dal curato don Bonoso bello florido e abbondante, sempre con
l’abito talare lungo. Anche se mai si era recato alla piccola fonte di acqua
calda gestita dall’intera famiglia di Gustavo come bagno pubblico, piccole
terme e a volte sia la moglie che la ormai non più giovane figlia accoglievano
con particolare cura i clienti, tutto il paese sapeva che sotto la veste non
portava neanche il licinium, per poter approfittare con velocità delle sue
giovani pecorelle.
Il motto del feudatario Lisantro era
“venari, diligere, ludere,
lavari, bibere, hoc est vivere”, ovvero: “Cacciare, amare, giocare, lavarsi e
bere, questo è vivere”. E spesso nelle lunghe e fredde sere d’inverno “bibere”
veniva messo in pratica.
Nei sotterranei del mastio oltre alle stanze
adibite a galere dove finivano i pastori che in estate non
pagavano le tasse per il pascolo o per le fonti d’acqua, c’era una cantina splendida una grotta scavata nel tufo, fresca in estate e calda in inverno, con botti in rovere spesso dopo aver cenato e mandato i soldati in cima al mastio per la notte, Lisantro con Vladimiro e Celso scendevano in cantina e mentre si raccontavano avventure di caccia, di sesso bevevano vino fino a stramazzare a terra.
pagavano le tasse per il pascolo o per le fonti d’acqua, c’era una cantina splendida una grotta scavata nel tufo, fresca in estate e calda in inverno, con botti in rovere spesso dopo aver cenato e mandato i soldati in cima al mastio per la notte, Lisantro con Vladimiro e Celso scendevano in cantina e mentre si raccontavano avventure di caccia, di sesso bevevano vino fino a stramazzare a terra.
In estate tutto il paese era un fremere
di lavori, i soldati sempre in giro a riscuotere le tasse per il passaggio o
per l’uso delle fonti, in inverno tutto sembrava al rallentatore. I Soldati
avevano i turni di guardia sulle mura, ma spesso passavano la giornata in
osteria a giocare a dadi, o nel bagno di Gustavo o meglio con sua moglie e sua
figlia. Ermia e Bernarda erano sempre al lavoro.
Sono un po’ di giorni che Bonoso anche se
fa freddo e sul monte c’è già la neve è sempre in giro per il paese, in
particolare passeggia per le strade degli artigiani, con la scusa che vuole
incontrare il figlio del maniscalco che da molto tempo non viene più a fare il
chierichetto, passa davanti alle baracche, di legno e paglia, dove vivono i
poveri contadini, in particolare ha adocchiato una giovane che sembra un fiore
sbocciato tra il fango: Assunta i cui genitori sono morti e vive con gli
anziani zii.
Oggi il figlio del maniscalco, fa un
cenno al curato e dopo un po’ i due si vedono sul retro della sacrestia, Bonoso
subito allupato spoglia il giovane per mettere al caldo il suo cazzo duro.
Sorpresa! Il muscoloso e forte giovane si
divincola, e lui ora mette carponi il grosso curato, gli alza la lunga gonna
aveva con se un po’ di strutto si unge velocemente la cappella e inizia a
scopare il povero Bonoso, che ancora bloccato dalla sorpresa e dalla forza del
giovane non sa reagire anzi comincia a rantolare dal dolore procurato da una
scopata tanto violenta e da un arnese così grande.
Castore, così si chiamava il figlio del
maniscalco, era sempre bravo e si metteva sotto la gonna a slinguazzare e a
succhiare il cazzo di Bonoso, il curato non aveva mai notato di come era ben
dotato il giovane, ed ora se lo ritrova dentro, ormai ha dilatato ed anche un
po’ strappato il buco, e scivola dentro che è un piacere, viene una volta, ma
non smette, al giovane non gli si ammoscia minimamente e continua a scoparlo
con violenza. Bonoso dopo tanti anni di bocchini e scopate, scopre il piacere
di un grosso cazzo in culo che entra con forza. Si dimena geme, gode, come
gode; Castore sta per venire una seconda volta, ma prima di scaricarsi comincia
a sculacciare il curato urlandogli e mordendogli le orecchie: “Lascia stare
Assunta, non ti avvicinare a lei, altrimenti la prossima volta invece del cazzo
ti infilo un bastone” non finisce la frase che già ha riempito il buco di
sperma.
Dopo essersi pulito il cazzo impiastrato
di sperma e sangue con la veste del curato, il giovane prima di uscire dalla
stanza guarda in faccia lo stravolto Bonoso avvicina al naso un pugno chiuso
che sembra una mazza si ferro e gli urla: “Attento”.
Bonoso resta solo con il culo dolorante,
prende un pezzo di stoffa e si accorge che oltre uscire una gran quantità di
sperma ha il culo rotto che sanguina, entra in casa camminando a gambe larghe,
fortunatamente non lo nota la sua, ormai vecchia, perpetua: zii Geltrude, entra
in camera si spoglia indossa il licinium, erano anni che non lo metteva, e tra
le chiappe mette una pezza di lino, pulisce la veste che Castore aveva
adoperato come pulisci cazzo. Sempre con le gambe un po’ larghe si avvia in
cucina per il pranzo.
Zii Geltrude, la sua anziana perpetua,
aveva preparato una buona zuppa di fave con un po’ di carne secca, Bonoso prima
di sedersi cerca un cuscino e lentamente si siede sullo sgabello. Gli fa male
il culo per non parlare delle chiappe rosse dalle sculacciate, ma non è
arrabbiato anzi scopre che gli è piaciuto cavolo se è stato bello! Davanti alla
zuppa calda i ricordi vanno a quando, molti anni fa, il vescovo lo aveva
mandato in questo paese e lui si era portato anche sua zia Geltrude, dato che
era vedova, come perpetua. Lui giovane curato, una sera dopo cena l’amorevole
zia era entrata nel suo letto e lo aveva sverginato. I due ricordi si mischiano
Zii Geltrude con tanta grazia gli aveva sverginato il cazzo mentre Castore con
tanta forza gli aveva sverginato il culo, che ancora faceva male. Non sa se
sono i lontani ricordi oppure i recentissimi ma si accorge che il cazzo duro
preme contro licinium.
Dopo l’avventura con Castore, don Bonoso
evita accuratamente di passare davanti alla casa della giovane Assunta, invece
con la scusa di camminare e leggere il breviario molto spesso passa vicino al
ponte levatoio ed in particolare alla baracca dove vivono i soldati addetti
alle mura di cinta, la puzza gli fa scoprire anche dove i soldati vanno a fare
i bisogni. E mentre passa davanti al vicolo puzzolente vede dei notevoli cazzi
che pisciano. Anche i soldati non portavano alcuno tipo di mutande tipo il
licinium del curato pertanto anche per pisciare si abbassavano completamente le
braghe senza curarsi se qualcuno li vedeva o no.
E’ notte fonda urlando: “Aiuto! Aiuto!”
un anziano contadino si avvicina alla baracca dei soldati, che anche se
scocciati e assonnati due giovani militari escono, e si rivolgono allo
scocciatore: “Cosa ti è successo?”
“A me nulla ma sento delle urla e dei
lamenti provenire dalla casa del curato”.
I due dopo aver avvertito i colleghi che
non si erano neanche alzati, a malavoglia vanno dal curato, trovano la porta
semiaperta entrano ed illuminato da una piccola candela vedono il curato a
terra completamente nudo con il culone ben in evidenza, che si lamenta: “Un
uomo è entrato, mi ha spogliato ed ha tentato di approfittare di me poi è
fuggito sentendo i vostri passi”.
I due rientrano brontolando e a Guido il
più anziano dei due gli scappa: “Quel culo grasso me lo sarei scopato anche
io!”
La storia si ripete un’altra volta.
Viene istituita una ronda all’interno
delle mura, altro lavoro al freddo per i sodati.
Questa notte ad uscire è di nuovo Guido
con un collega, alla sera pioveva, ma ora che escono scende neve, anche se
ancora non ha imbiancato i vicoli del paese, ora è veramente fitta.
I due fanno il giro degli artigiani,
evitano le casupole dei contadini, troppo fango troppo sporco, sono davanti al bagno
di Gustavo sono tentati di entrare per scaldarsi nelle tinozze di acqua
caldissima o meglio tra le dolci braccia dell’esperta Ermia o della giovane ed
abbondante Bernarda. I due si fermano sono tentati, ad entrambi gli si muove il
cazzo tra le strette braghe, ma la paura per una mancata consegna gli fa
desistere, “Ci torneremo domani pomeriggio”-dice Guido rivolto al giovane
collega.
A Malincuore continuano la ronda attorno
al mastio e nelle vicinanze della chiesa. Quando sono dietro tra la sagrestia e
la casa del curato vedono una porta aperta ed una fievole luce uscire.
Senza far rumore i due si avvicinano, in
silenzio guardano dentro senza farsi vedere.
Il grosso curato completamente nudo è
intento a bloccare la porta della sua perpetua, poi senza badare se qualcuno lo
vede, si mette dello strutto tra le chiappe, si butta a terra e comincia prima
piano poi forte: “Aiuto!". “Qualcuno mi aiuti!”
“Cazzo, ha inventato le finte
aggressioni!” – Dice piano Guido al collega.
I due sempre in silenzio entrano, ma
questa volta non aiutano il curato ad alzarsi, anzi Guido dice al compagno di
bloccarlo, mentre in fretta si toglie si abbassa le braghe, nota con piacere
che il culo è già ben lubrificato e quindi senza tanti preamboli mette carponi
il curato e comincia a scoparlo.
Bonoso smette di urlare e comincia a
mugolare come un orso in calore, è lì nudo a quattro zampe mente Guido con
destrezza e forza se lo scopa, anche l'altro soldato si toglie le brache e
infila il cazzo in bocca al Ciccio che succhia con avidità. Lo spiedo è
servito!
I due militari vengono quasi assieme e
lasciano il curato nudo a terra con la bocca e il culo pieni di sperma, mentre
rientrano dalla ronda commentando sghignazzando l'accaduto.
Giovedì pomeriggio, il bagno di Gustavo
oggi solo per i militari, al mattino presto Gustavo con l'auto delle sue donne
ha ripulito più degli altri giorni le grandi tinozze ed il pavimento intorno,
ed anche le tavole di legno vicine alla fonte, le pareti in legno e l'acqua
quasi bollente che esce fonte rendono la casa particolarmente accogliente
perché fuori c'è neve che comincia ad accumularsi, le tinozze sono già piene e
cominciano a traboccare, nulla va perso l'acqua scende ora solo tiepida nel
lavatoio comune dove le donne del paese sono a lavare chi i loro poveri stracci
chi gli abiti dei militari ed anche la biancheria del signore del castello.
"Oggi vado al bagno" dice
Lisantro per mettere in pratica altro suo motto: lavari, al suo capitano Celso
"Vieni anche tu?"
"Certo Signore l'accompagno ben
volentieri”.
Al bagno quando entrano i due ci sono già
altri soldati, ma tutti sanno che quando si è al bagno non servono onori
militari basta solo un cenno di saluto e così fanno tutti da dentro le tinozze
o sdraiati nudi sulle tavole immersi nei vapori della fonte.
Al signore e al suo capitano Gustavo
riserva la tinozza con anche una specie di separé in cannucce, i due si
spogliano lasciando gli indumenti sulle panche e entrano nell'acqua caldissima,
Lisantro barba e peli, con una pancia una discreta pancia e un batacchio
discreto ma con palle veramente grandi, mentre il capitano Celso è veramente
peloso anche sulla schiena anche lui una buona pancetta ma certamente non è
grasso discreta attrezzatura.
Appena entrati nell'acqua calda della tinozza,
sembra di scordare che fori nevichi ed un gran freddo, si sta bene ci si
rilassa, e si può anche chiacchierare liberamente. Veramente al capitano gli fa
anche un altro effetto appena in acque, ha un'erezione che certamente non può
nascondere.
"Già in tiro, caro Celso!" ad
alta voce il feudatario, incurante che altri possano ascoltare, siamo ai bagni
e qui quasi tutto è permesso.
Dietro la parete di cannucce ora c'è un
gran vociare e saluti, entra Guido ed il suo giovane, i colleghi già nelle
tinozze oppure sulle panche, quando vedono il giovane soldato con la verga ben
in tiro.
"Dai che Bernarda ora è libera, è
venuta a lavarsi ed ora è bella fresca!" Dice uno.
"Urca che arnese! Se vai dalla
Bernarda con un cazzo così ti fa lo sconto" Sghignazza un altro da sopra
una panca.
Il giovane si da una veloce lavata, ed
sala nelle camere.
Al di la delle cannucce, Lisantro dopo
essersi dilettato in una bella sega al suo capitano che dopo aver sburrato era
è lì bello e appagato dentro la tinozza, urla: "Sapone, c'è qualcuno con
il sapone!"
Subito si sente un rumore di zoccoli in
legno è Gustavo che come sempre a dorso e cinto da un telo di cotone sembra che
porti una gonna, arriva con una piccola tinozza.
"Eccomi signore, si accomodi qui su
questa panca, lo ho lavate tutte con l'aceto stamani”.
Lisantro esce dalla vasca calda e si
sdraia a pancia sotto, sulla panca di legno vicino ad una delle tante canne
dove esce l'acqua quasi bollente, i vapori non nascondono minimamente il suo
cazzo duro.
Gustavo si avvicina scalda un telo
nell'acqua, lo immerge nella sua tinozza e comincia a frizionare la schiena del
suo signore.
Il sapone che usa è veramente un buono,
fa un discreto profumo, ma la cosa più evidente, una gran quantità di schiuma,
Gustavo è un esperto massaggiatore, friziona con forza ed energia la schiena le
braccia passa ora ai piedi usando un panno particolarmente ruvido, ora con una
spugna morbida sale le gambe arriva ai glutei e non si ferma va anche tra le
chiappe, che lava ed ispeziona con forza.
Lisantro si lascia coccolare e torturare
con piacere. Ora si gira ed ha il cazzo bello duro in tiro.
"Devo chiamare mia moglie?"
dice Gustavo alla vista della cappella quasi violacea da quanto è eccitata.
"No, continua con il sapone, magari
salgo dopo sopra" Risponde il feudatario.
Gustavo ricomincia di nuovo con i piedi
passando il panno ruvido in messo alle dita, sale ora con la spugna morbida i
polpacci e alle cosce, fa alzare le ginocchia al signore ed ora lava con
energia le grosse palle che con il caldo sono scese e penzolano fino quasi
toccare la panca.
Ora ritorna a lavare ed a ispezionare le
chiappe, ma il dito medio va a frizionare anche l'interno del buco.
Sarà stato il sapone, sarà stata
l'abilità di Gustavo, sarà stata la voglia di prenderlo di Lisantro ma nel culo
il medio entra con estrema facilità; il bravo Gustavo ora raddoppia la dose ed
infila anche l'indice, all'inizio stringeva, ma ora le due dita entrano ed
escono scivolando con estrema facilità.
Ora il Cazzo di Lisantro sembra
scoppiare, il massaggiatore abbandona momentaneamente il gioco e ora e lì a
frizionare con forza le braccia le forti spalle. Per meglio frizionare
contemporaneamente i pettorali sale sulla panca un ginocchio a destra ed uno a
sinistra del suo signore. Inizia a massaggiare con forca e quasi maltrattare i
capezzoli ritti e arrossati.
Appena sente che al suo signore la cosa
piace, si siede proprio sopra la cappella dura, ora non solo bagnata di sapone
ma anche da un notevole quantità di piccole gocce di pre sperma.
Con abilità ed anche con estrema facilità
accoglie il cazzo di Lisantro nel suo bollente culo, ora è lui che cavalca, e
contemporaneamente strizza i capezzoli di suo signore, per niente infastidito
il feudatario facilita la cavalcata del massaggiatore.
Intanto nella stanza accanto, i colleghi
deridono Guido "Stai diventando vecchio!" "Non ti si drizza più,
come una volta." "Visto il tuo collega ora su con Bernarda".
Guido dopo che tutti hanno fatto i loro
commenti ironici, spiega, io l'ho adoperato ieri sera ed oggi dopo il bagno ho
appuntamento con mia moglie: "Non voglio deluderla”.
"Ma se eri di ronda ieri notte, e
faceva un freddo cane, se lo tiravi fuori dalle braghe non si induriva, si
congelava!" ride il soldato che nella stessa tinozza di Guido.
"Io e Vincenzino", così si
chiamava il giovane collega, "ci siamo scopati il curato".
"Sparane un'altra" "Tutti
sanno che al curato piacciono le giovani pecorelle e ne lascia veramente poche
senza averle scopate”.
"Eppure e vero" - insiste Guido
"Domandatelo a Vincenzino, quando ritorna”.
Con ancora un po’ di sfottò, la
conversazione termina. Tutti sentono il rumore dell'inculata del Signore che
mugola e urla: "Ti riempio il culo, a prenderlo in culo si meglio di tua
moglie!"
Mentre Gustavo è inchinato intento a
raccogliere i suoi attrezzi: spugne, tinozza e zoccoli di legno, Lisantro da
una grossa pacca sul sederne del massaggiatore, si alza e si immerge nella
tinozza con il suo capitano, che gli fa cenno di far silenzio e ascoltare la
discussione dei militari dietro la parete.
Oltre la parete di cannuccia si sente
aprire la porta e scende, dal viso veramente appagato il giovane Vincenzino:
circa trenta anni moro con abbondante peluria ovunque.
"Eccolo, ora appena si riprende
chiediamo a lui" Ride un dei militari stesi sulle panche.
Tutti si girano verso il giovane."Cosa
succede, non avete mai visto uno che ha appena fatto una splendida
scopata?" "Anzi tre" dice il giovane mentre fa le scale
lentamente e lentamente ciondola il bell'arnese ben ornato da una criniera di
peli neri, che ha già dato tutto quel poteva.
"C'è qui Guido che ha raccontato di
ieri sera!" dice uno "Non è vero, si è inventato tutto"ridacchia
il compagno di tinozza.
"Cavolo è vero se vi ha raccontato
dell'inculata che lui è fatto!"
L'attenzione di tutti è sul giovane, che
si immerge anche lui nella tinozza con Guido. "Vi ha detto che ce lo siamo
fatto allo spiedo?"
"Allora è vero?" insiste il
vicino di bagno.
"Si”. “Noi abbiamo visto la
porta semi aperta e ... " Vincenzino continua il racconto con nuovi
particolari "Alla fine l'abbiamo lasciato lì con culo e bocca pieni! Da
come si dimenava mi sa che gli è anche piaciuto!" Finisce il racconto il
giovane.
Ad ascoltare in silenzio e sbigottiti non
solo i commilitoni ma anche il capitano e il signore del castello.
I militari con calma salgono le scale per
raggiungere le camere di Bernarda ed Ermia, ma alcuni vanno nell'altra stanza e
non disdegnano affatto le cure del corpulento Gustavo.
Alla sera a cene nel mastio dopo che la
cuoca e cameriera ha servito a tavola, esce ritorna alla sua casupola, e viene
issata la scala. Assieme al signor Lisantro restano i soliti fedelissimi i due
capitano e altri tre o quattro militari.
Celso racconta ai presenti quelle che
aveva ascoltato al bagno, uno dei militari annuisce "Me l'hanno raccontato
anche a me."
Tutti ridacchiano e commentano il culone
nudo del curato, la sera come spesso succede in inverno finisce da ubriachi.
Venerdì mattina un uomo ben vestito si
presenta in chiesa dal curato e dopo che ha terminato le funzioni del mattino
entra con lui in sagrestia.
Porgendo una busta al curato "Santa
giornata curato, questa è per lei, mi è stato dato ordine di aspettare la
risposta io ora sono fuori e aspetto" Così dicendo si gira ed esce, anche
se vestito da messaggero si capisce dai movimenti che è uno dei militari del
Conte.
Il curato apre con fretta la busta chiusa
con le cera lacca con sopra un timbro con un castello.
Dentro un bel biglietto rigido ben
scritto
Al
curato Don Bonoso della chiesa di San Giovanni di Montepascolu,
Ho il piacere di invitarla al mastio
Sabato sera per una cena
per poter meglio chiarirci prima dell'imminente Santo Natale.
Conte Lisantro di Querciabella Signore del Castello di Montepascolu
Il Curato gira e rigira il biglietto
di invito, cosa sarà questa novità, tra i due non correva una buona amicizia perché
il curato vantava la proprietà della fonte vicino all'edicola di Sante Cecilia.
Il curato non solo la voleva di proprietà
della chiesa, come l'edicola stessa, pretendeva che i soldati andassero ad
erigere la dovuta tassa di pastori portassero a lui il ricavato, Il Conte non
ne voleva sapere anzi una volta dei suoi soldati si erano permessi di chiedere
il dovuto al piccolo gregge del curato.
La disputa è andata avanti per anni finché
il conte non ci mise una pietra sopra. Nel vero senso della parola, alcuni dei
suoi uomini fecero rotolare dei grossi massi di pietra sulla fonte rendendola
inutilizzabile dal bestiame ora ci andavano a bere solo starne e fagiani che il
conte cacciava ben volentieri.
Bonoso esce e trova il messaggero seduto
sui gradini al tiepido sole: "Di al tuo signore che accetto ben volentieri
l'invito”.
Il messaggero saluta il curato e riporta
la missiva al Conte.
Già Sabato mattina Bonoso non ha smesso
di pensare per tutta la notte e fino adesso casa avrà da dirgli il conte,
-"Forse vuole prepararsi per l'aldilà"- "Forse per paura del
fuoco eterno vuole sistemare la MIA FONTE" - "Forse vuole risarcirmi
dei danni subiti in questi anni" - "Sono cinque anni che la fonte di
Santa Lucia è rotta" - "Cinque anni di mancate rette dei
pastori" - "Poi le spese per la sistemazione" - "E' stato
lui e lui dovrà sistemarla" - "Da aggiungere inoltre che per due anni
i suoi soldati non hanno mai riscosso per me" - "Sono otto anni di
rimborsi" - "Poi per il perdono mi regalerà qualcosa"
-"Certamente sarà generoso" -.
Alcuni contadini e artigiani del paese, che
come ogni sabato, gli hanno portato da mangiare e da scaldarsi interrompono i
suoi sogni ad occhi aperti.
“Grazie, cari figlioli non so come farei senza di voi” e accomiata i
fedeli con una benedizione.
Se non ci fosse stata l’interruzione sarebbe arrivato a fantasticare
perfino che il Conte Lisantro gli avrebbe donato mezzo feudo.
Si fa sera, dopo aver suonato le campane per annunciare l’imminente
chiusura del ponte levatoio, il curato si veste bene indossa la veste bella,
saluta zii Geltrude, che stava sistemando nella dispensa le buone cose che
erano appena arrivate e si avvia verso il mastio.
Sono solo un centinaio di metri ma la neve ghiacciata e la salita
rendono difficoltoso il cammino per questo Bonoso si è procurato anche un
bastone per evitare spiacevoli cadute.
Davanti al mastio ci sono due militari ed aiutano il curato a fare la
scala a pioli per salire alla porta di ingresso.
A fatica il Curato annaspa lungo la scala e da sotto i due soldati
notano che sotto la pesante veste il curato mostra un bel culone rosa.
Per l’ultimo gradino lo stesso Conte Lisantro aiuta il curato ad
entrare.
Appena dentro. Anche i due militari issano la scala a pioli, e chiudono
con un grosso chiavistello la piccola porta di ingresso.
Il Conte Lisantro fa strada al Don Bonoso, Lei curato non era mai stato
nella mia umile dimora, come lei ha potuto notare abbiamo chiuso la porta di
ingresso, che non si riapre fino a domani, ma per lei le abbiamo riservato una
camera calda dove passa il camino della cucina.
Ci scuserà ma alla sera la donna che fa da cuoca e accudisce alla casa,
esce pertanto la cena è pronta sul tavolo, ma dovremo servirci da soli.
“Non si preoccupi, anche nella mia casa zii Geltrude è anzianotta cucina
bene, ma a tavola mi servo da solo”.
Ancora un po’ di scale strette ed eccoci arrivati nella sala. Bella
grande illuminate da tre candelabri sul tavolo e da alcune torce alle pareti,
per non parlare dei due grandi camini belli pieni di fuoco.
Don Bonoso rimane sbigottito da tanta luce per una fredda notte di
inverno, Lui che cenava con una sola candela accesa e a malapena vedeva cosa
c’era nel piatto.
Il tavolo poi uno spettacolo, carne, formaggi, salumi ed anche delle
belle focacce con della frutta certamente dei dolci.
“Dono Bonoso voglio presentare i nostri commensali, il Capitano Celso e
il Capitano Vladimiro” dice il Conte mentre i due militari salutano con un
reverente inchino il curato.
“Grazie! Grazie! State comodi figlioli” Risponde il curato salutandoli
con un cenno di benedizione.
I due militari che erano alla porta e alla scala a pioli salutano e
salgono al piano superiore.
Si accomodano al tavolo il conte a fianco il curato e di fronte i due
capitani.
Prima di iniziare la cena si alza il Conte e dice “E’ abitudine che
quando siamo intorno a questa tavola di abbandonare titoli e gradi militari
pertanto vi chiedo di chiamarci solo con il nostro nome: Lisantro, Celso,
Vladimiro e se lei permette la chiamerò Bonoso”.
“Grazie per l’accoglienza, certo caro Lisantro davanti a una così bella
ed illuminata tavola chiamarsi con il solo nome di battesimo è d’obbligo”.
Come da consuetudine si comincia con i dolci Lisantro porge una focaccia
con delle mele e miele, una letizia per gli occhi e per la gola.
Bonoso prende alla sua destra un’altra focaccia con sopra dei chicchi di
melagrane dopo averne preso un pezzo la passa a Celso.
“Sono squisite” dice Bonoso con ancora un po’ di chicchi di melagrana in
bocca.
Vladimiro riempie di nuovo le coppe dei commensali.
“Prova questo brodo!” Lisantro si
alza e va a prendere una zuppiera in ceramica, che appena scoperta lascia un
profumo per tuta la stanza. “La nostra Maria, la cuoca, è veramente brava è un
po’ scomodo che ogni notte lei lasci il mastio, ma è la moglie del fabbro
maniscalco e non voglio problemi con qualche militare che allunga le mani”.
“Ma è brodo d’oca” esclama Bonoso
“Si con anche queste palline di pasta e formaggio” assaggiali dice Vladimiro.
“Sono speziati, non ci ha mai detto cosa ci mette” interviene Lisantro.
“Ha detto che lascerà tutti i segreti alla futura moglie del figlio
Castore” dice Celso “Non sono una figlia di contadini”.
“Bella sorpresa, io me lo ricordo ragazzino Castore, e già grande da
matrimonio” Mente Bonoso.
Oltre al brodo d’oca anche una zuppa di grano e lardo bollente,
buonissima.
I quattro commensali ora grazie alla frase di inizio del conte e ancora
di più grazie al buon vino sembrano quattro amici a tavola.
Solo due argomenti sono ancora tabù le uscite con le pecorelle della sua
chiesa di Don Bonoso e la fine di Armida moglie di Lisantro.
“Bonoso, nelle calde notti d’estate a controllare i pascoli lontani dal
castello, qualche volta se non si trova una donna disponibile ci si arrangia tra
di noi” Dice Vladimiro mentre porge un cosciotto di agnello al curato.
“Eh, Eh, Porcellini” Ridacchia Lisantro.
“Non ridere” dice Bonoso “E’ umano tutti noi uomini abbiamo un bisogno
fisico, di certe cose”.
“Anche tu?” Interviene Celso, ora timoroso di aver fatto la domanda.
“Ora sono vecchio, e gli stimoli sono calati, ma da giovane zii Geltrude
mi accudiva non solo per la cena” Dice Bonoso.
Gli altri commensali ridono mostrando finta meraviglia, perché già lo
sapevano.
Agnello, vino. Pernice, vino. Cinghiale,
vino e ancora vino.
I quattro si reggono a malapena in piedi, ridono per nulla e si
abbracciano come fratelli.
Ora si siedono su quattro poltrone già preparate di fronte al camino più
grande.
Ora sono in silenzio a godersi il
tepore del bel fuoco, a digerire e a sorseggiare anche il calice di vin caldo
preparato al momento da Celso.
Passa un po’ di tempo di silenzio, interrotto solo da qualche salutare
rutto.
“Ti mostro le segrete del mio castello, vieni caro Bonoso” - A braccetto
uno che sorregge l’altro il conte e il curato scendono le scale.
Celso e Vladimiro dopo aver spento tutti i candelabri e due torce,
prendono le rimanenti e seguono i due nuovi amici.
Qui fa un po’ freddo lontano dai camini, ma appena scendono nelle grotte
di tufo c’è uno strano tepore.
“Quelle sono le carceri, ora completamente vuote. Qui la cantina, chiusa
a chiave. Qui invece dove entriamo è la stanza dove i miei soldati a volte si
divertono con chi non vuole pagare l’acqua delle fonti.”. - Lisantro spiega a Bonoso.
Una grotta larga con una grossa colonna al centro.
Intorno dei bracieri ora spenti, tanti anelli di ferro fissi alle
pareti.
Entrano anche Celso e Vladimiro. Mettono le torce alle pareti.
“Mostra al curato come ci divertiamo con i pastori per convincerli a pagare
le fonti” Indica una strana panca: troppo alta come panca, troppo basa da
tavolo.
Celso accompagna Bonoso vicino, che senza neanche accorgersi per la
velocità dei movimenti e per il troppo vino ingerito, si trova legate mani e
piedi su quella strana panca.
“Scomodo” dice il curato cercando di divincolarsi dalle legature.
I tre non lo ascoltano anzi Celso infila la mano sotto la pesante veste
del curato e comincia a palpeggiargli il sederone poi alza gli alza la gonna.
Il Curato è ora costretto carponi con il culo scoperto.
“Che bello che sei caro Bonoso!” dice il Conte dopo essersi messo dietro.
Intanto Vladimiro si sta togliendo le braghe e poco dopo si avvicina al
curato legato completamente nudo mettendo ben in mostra il suo notevole cazzo
già in tiro ed il petto, culo e schiena coperti da una fitta peluria chiara.
Anche Celso si spoglia con ancora le braghe, ma a dorso nudo si avvicina
al curato gli soppesa le palle: “Che belle palle da toro curato belle pendenti
così se ne vedono poco”.
Il Curato si lamenta: “Dai il gioco è finito ora slegatemi”.
“Il gioco comincia ora” Dice il conte mentre anche lui è già quasi nudo.
I due capitani cominciano a giocare con le grosse palle del curato prima
con le mani poi Celso si abbassa e le lecca con cura, bagnandole completamente.
Bonoso comincia a mugolare di piacere ora, ma Vladimiro prende delle
grosse pinze appese alla parete fatte apposta per strizzare le palle. E
comincia a comprimere i testicoli lentamente senza cattiveria. Al Curato ancora
il trattamento risulta piacevole.
“Perché siamo amici, altrimenti lo avremmo fatto a secco!” Così dicendo
Celso mette una notevole quantità di grasso di maiale tra le chiappe e comincia
prima solo a frizionare il buco, poi entra con un dito, raddoppia la dose con
due dita quando prova ad infilare il terzo, Bonoso comincia urlare da dolore
anche perché Vladimiro cominciava a stringere le palle con più energia.
“Basta, vi prego Basta!” urla ora il curato.
“Si smettete, ma spogliatelo e fatelo stare zitto” Urla il Conte.
I due capitano mentre gli sciolgono le mani con forza lo broccano e lo
spogliano completamente, poi un apposito bavaglio gli chiudono la bocca.
Rilegato di nuovo sulla “cavallina” stavolta completamente nudo, bello
ciccio, dal culone bello grosso e nonostante le torture le palle ancora
penzoloni tipo toro da monta.
Ora i tre con il cazzo in tiro iniziano ad inculare il curato prima
entra il Conte dopo cinque o sei colpi lascia il posto Celso anche lui prova lo
sfintere del curato con cinque o sei colpi e lascia il posto a Vladimiro che fa
altrettanto iniziando una staffetta a tre.
Il culo del curato per queste entrate ed uscite repentine si dilata e
grazie al grasso in precedenza messo ora i tre cazzi scivolano dentro con
estrema facilità.
Il curato si lamenta ma tre cazzi che lo scopano comincia a piacere.
Celso toglie il bavaglio al curato ed infila in bocca il cazzo sporco di
culo e di grasso di maiale, Bonoso cerca di evitarlo, ma in quella posizione
può solo prenderlo in bocca pulirlo e succhiarlo.
Nel culo ora c’è il conte che veramente eccitato comincia a urlargli.
Cadenzando i colpi di reni con delle sonore sberle sulle chiappe del
curato.
“Bonoso vedi di ricordarti” splash schiaffo e affondo in culo.
“Che le fonti d’acqua” di nuovo altro schiaffo e affondo.
“Sono di mia proprietà” questa volta n gli schiaffi non si contano
perché Lisantro si irrigidisce ed invade il culo di sperma.
Il curato non può rispondere perché ha in bocca il cazzo di Celso che
pulito da ogni lordura ora scivola in bocca che è un piacere.
Appena venuto Lisantro lascia il buco al suo capitano.
Di nuovo uno splendido spiedo fatto da due militari! Sembra ormai una
bella abitudine per Bonoso.
Il culo pieno di sperma e grasso ad ogni colpo del capitano rilascia un
mix di brodaglia.
Poco dopo i due capitani lo farciscono di sperma.
I tre sono spossati “Adesso” dice il conte “Se vuoi che il tuo gregge
beva gratis e usi i miei pascoli fino al prossimo anno devi pulirci i cazzi
come hai fatto a Celso”.
Il Conte e il capitano si avvicinano alla bocca del curato porgendo i
loro cazzi ormai mosci ma veramente sporchi di tutto.
“Aiutalo” dice il conte al capitano Celso.
Che da dietro prima afferra le palle poi il cazzo e comincia una sega.
Sarà l’effetto della sega, sarà che ormai Bonoso è pronto a tutto, ma
sarà in particolare la promessa di poter utilizzare qualsiasi fonte o pascolo;
il curato si mette a slinguazzare con avidità palle, cappella e persino l’inguine
dei due uomini di fronte che sghignazzano di piacere.
“Al maialotto piace, sta venendo” grida Celso mentre continua la sega.
“Sono stanco vado a letto” dice il conte raccoglie le sue vesti e si
avvia verso le scale “Fate quello che dovete”.
I due capitani indossano le vesti, Celso slega il curato mentre
Vladimiro mostra un cazzo di legno più grande del suo muscoloso braccio,
attento se rompi ancora la prossima volta ti inculiamo con questo.
“La c’è una tinozza, se vuoi lavarti la tavolo con delle coperte per la
notte, domani ti verremo a prendere e ti accompagniamo alla porta” Dice Celso.
Quando sono per le scale, entrambi salutano il curato: “Buona notte Don
Bonoso”.
Il curato quando rimane solo con la luce di una sola torcia, si lava
nella tinozza d’acqua fredda, indossa la parte in lana della sua veste, va
verso la panca tra le grosse coperte.
Adesso per la testa ha altri pensieri – “Cavolo se mi hanno fatto male”
– “Ma un po’ mi è anche piaciuto” – “ I tre cazzi che bello quando entravano” –
“Che buona la sborra di Celso” – “Domani mattina mi lasceranno” – “No, forse di
nuovo con il cazzo duro verranno a scoparmi” – “Ma verranno anche gli altri
militari che sono saliti sulla torre” – “Si non in tre ma in sei” – “Poi uno
dei militari gli ho anche visto il pacco” – “Quello deve avere un cazzo da
sballo”.
Si addormentò.